La storia dello snowboard


Dino Bonelli, uno dei pionieri dello snowboard, oltre che aver contribuito alla nascita in Italia di questo sport, ha il grande merito di aver collezionato le tavole nel corso degli anni. Così facendo ha messo in piedi il Museo dello Snowboard, la più importante e completa collezione di snowboard europea. Quella che presentiamo di seguito è la Storia dello Snowboard da lui scritta.

Ben esposto con tanto di epigrafe descrittiva in inglese e in norvegese, un pezzo di legno lungo circa 110 cm e largo non più di una ventina, reclama la paternità del titolo di reperto più vecchio del museo. Siamo a Lillehammer, già sede dei giochi olimpici invernali, in Norvegia, siamo nel museo dello sci. Il pezzo di legno in questione viene catalogato come il più datato di una serie di reperti archeologici inerenti la pratica di questo sport, al tempo semplicemente considerato dai cacciatori nordici come il mezzo più veloce di locomozione sulla neve. Facile pensare che questo pezzo di legno, leggermente incurvato su un’estremità, con un lato levigato dall’usura e l’altro intarsiato dal tempo, fosse usato come attrezzo per scivolare sui pendii innevati, ma più difficile stabilire in che modo venisse usato. La completa mancanza di attacchi che in quel periodo storico non erano altro che trecce di origine vegetale, quindi credibilmente biodegradate nel tempo, aumenta il dubbio sulla reale posizione di assetto sull’asse ricurvo.

Con il senno dei poi maturato dopo la nascita dello snowboard, nacquero alcuni dubbi in proposito, infatti rimane logico pensare che su una superficie così larga i piedi potessero esser sistemati trasversalmente a favore di un maggior equilibrio, e anche la lunghezza del conteso assomiglia decisamente più a quella di uno Snurfer piuttosto che agli sci dell’800 che misuravano tutti oltre i 2 metri. Qualcuno avanzò l’ipotesi che si trattasse di una racchetta da neve, ipotesi subito scartata per l’evidente peso eccessivo e per la non compatibilità con le gia esistenti racchette utilizzate dalle popolazioni Lapponi, Inuit ed Eschimesi. Così, senza prove concrete, il reperto in questione continua la sua storica esistenza con l’etichetta originale che lo identifica come il capostipite della famiglia dello sci, ma dubbi di sana e ragionevole controversia persistono tuttora e ne alimentano la disputa nei salotti competenti.

Poi la storia, o meglio la preistoria dello snowboard si interrompe, e dai contesi reperti storici si passa alle realtà dei primi anni sessanta, con una strana assicella incurvata che con il nome di snow-walker lascia ad intravedere la possibilità di vivere la neve in posizione trasversale, ma dai principi dello snowboard si è ancora molto lontani. Bisognerà quindi aspettare che un certo Sherman Poppen nel 1966, dopo aver sperimentato una piattaforma attaccata su due sci incollati fra di loro per far divertire i propri figli, iniziasse a produrre un asse unico in legno ricurvo su cui scivolare a valle tenendosi ad una cordicella legata sulla punta dell’attrezzo. Poppen, che sulla parte superiore del legno piantò due serie di chiodini a forma di U rovesciata per dare più presa alla suola delle scarpe, battezzò la sua creatura Snurfer, componendo il nome da snow (neve) e surfer (surfista). Infatti le prime richieste di stance position (posizione trasversale) arrivarono proprio dai surfers californiani, sicuri di trovare i detta posizione la loro identità naturale. Poppen, che in quel periodo lavorava per la Brunswick, famosa marca di piste da bowling, approfittò dei macchinari e dei vari legni che aveva a disposizione e intraprese la commercializzazione dei primi pezzi, rifinendoli e abbellendoli anno dopo anno. Il grip per non far scivolare i piedi passò dai chiodini a U ai tasselli gommati e nel tempo fecero la loro comparsa anche i primi pads e i primi blocca piedi ad uncino.

Visto il successo commerciale dello Snurfer, altri intrepidi costruttori del settore ligneo si cimentarono in prodotti simili dai nomi più fantasiosi, tipo Skifer (nome derivante da ski e surfer), White Bear, Raviera, Ski Bombe,… e qualcuno tentò anche la strada dell’attrezzo in plastica, come il Cleco Skiboard, lo Snow Thrasher o il Black Snow. Molti giovani rimasero talmente colpiti dal fenomeno che a loro volta iniziarono a sperimentare nuovi shape e nuove varianti. Tra questi anche il giovane Jake Burton Carpenter, che nel 1975 si costruì in casa il primo prototipo resinato, che con un paio di modifiche trovò nel ’77 la prima piccola produzione nel modello Londonderry. Questo pezzo, unanimamente considerato il Santo Graal del collezionismo di settore, è un legno azzurro alto 110 cm, un laminato a 6 strati d’acero piegato a vapore, con due pinnette metalliche laterali, una strap gommosa fissa per il posizionamento del piede anteriore ed una a fascia elastica ad uso facoltativo, incastonata nella gomma d’appoggio del piede posteriore. Una corda arancione con manico plastico completa l’accessoristica del lussuoso modello che porta il nome del paese d’origine di Burton, Londonderry per l’appunto, nel Vermont.

Parallelamente alla nascita della Burton Factory, altri giovani pionieri mettono in cantiere le proprie idee e i più strampalati progetti. Tra questi un certo Bob Weber, dopo aver costantemente insistito per anni in una strada che lo vedeva montare attacchi simil sci su snurfer di sua produzione, progetto mai decollato, si fa strada con una proposta decisamente innovativa. Montando un piano da skateboard disegnato dal leader di settore Lonnie Tolf su una tavola prestampata in plastica gialla, con un paio di uncini Sky per attacchi, nel 1977 crea la mitica Fly Yellow Banana (la banana gialla volante) marchiata Sims (in seguito prodotta ed etichettata anche dalla Santa Cruz). Infatti sarà proprio la casa dell’altro storico pioniere Tom Sims, una delle realtà più avanguardiste ed innovative negli anni a seguire.

Un altro artefice di sperimenti concretizzati fu Dimitrije Milovich, che nello Utah crea la sagoma a pesce del leggendario Winterstick. Con anima in legno ricoperta da uno strato di resina resistente all’acqua e agli urti, il Winterstick si divide subito nei modelli Swallow tail (coda di rondine) e Round Tail (coda rotonda), entrambi ben accessoriati di attacchi concepiti in larghe fasce morbide. Intanto, sempre a cavallo tra la fine degli anni settanta ed i primi anni ottanta, in Canada nascevano i primi rarissimi prototipi della Storm snowboard, altri pesci gialli o rosa con derive metalliche e attacchi a strap montati su chiodini di vecchie scarpe da golf incastonati nella plastica. Chuck Barfoot crea la propria linea seguendo i parametri di Burton, che nel frattempo ha allargato e allungato il suo snurfer portandolo prima ai 130 cm del Backhill monostrap, poi ai 140 del Performer con doppia calzata e senza cordicella sulla pinta. Mike Olson seguendo invece la via di Tom Sims, anche lui in evoluzione con l’abbandono della plastica e il riassetto su progetti in laminare di legno, e crea prima la Gnu snowboard e poi la Lib Tech. Steve Derrah, padre della Flite surf co. non si accanisce su nuovi progetti ma segue la concorrenza, applicando i suoi sforzi nella creazione di qualcosa di molto importante nel campo degli attacchi.

Preceduto solo dagli esperimenti di Jeff Grell, nel 1983 Steve crea il primo highback (spoiler) direttamente collegato sulla tavola, garantendo una presa di spigolo in backside (anche se di lamine non se ne parlava ancora), mai stata possibile prima. Negli stessi anni, a Lake Tahoe, nel nord California, Chris Sanders fonda la Avalance Snowboards, indirizzando gli sforzi concettuali prima nell’eliminare le pinnette laterali e poi nel copiare le sciancrature dallo sci. Ma il primo a presentarsi con una tavola, seppur ancora a coda di rondine, ma senza pinne e con le lamine, fu Tom Sims ai mondiali di Soda Spring, e questa innovazione gli valse subito il prestigioso titolo in palio.

In Europa intanto la notizia della nascita di un nuovo sport viene importata dai surfers francesi che incominciano una propria produzione di tavole artigianali con anima in legno e una resinatura come guscio idrorepellente. Regis Roland, forse il primo grande interprete pratico del vecchio continente, crea l’Apocalypse Snowboard, la prima vera e propria produzione commerciale di tavole europee. La stessa passione e la stessa dedizione coinvolge i primi italiani che costruiscono le prime pionieristiche tavole sagomate a pesce e ornate di straps rubate al wind surf. In Germania qualcuno segue la strada americana della costruzione in plastica, e ne deriva un simpatico quanto improbabile Snowboard Heverest n°1, quasi subito accantonato per diventar poi un rarissimo reperto da esposizione, lasciando alla Jester e alla Pogo il successo con tavole in legno. Sempre in Francia, incominciano a nascere le prime produzioni industriali a grande scala, con la Dea, la Bird Surf e la Free Surf a dividersi il piccolo mercato crescente con boards in legno dalle misure più varie.

A Torino, Bob Sorgente, appena rientrato da un viaggio negli States con un Backhill a coda di rondine corta, inizia l’avventura nostrana con la presentazione al MIAS (Mercato Italiano Articolo Sportivo) di Milano del ’81 del primo Snowsurf, una tavoletta nera di 130 cm, in tutto e per tutto uguale alla Burton appena presa in america. L’anno successivo Bob porta sul mercato lo stesso attrezzo laminato in legno in due misure diverse, 130 e 140 cm, e lo propone in ben 5 colorazioni differenti (nero, azzurro, rosso, giallo e verde). Uno sconosciuto artigiano Cuneese ne copia lo shape e cambiando pochi dettagli ne propone una versione di color marrone dal semplice nome Surf da neve. Qualche anno dopo, sempre a Torino, Sergio Aghemo dà il via alla produzione dei Wintersurf, che dall’iniziale Pin-tail con soletta convessa e con una piccola deriva centrale, si evolvono prima nei vari Polar 155, Quasar 165 e Nova 175, e poi nei successivi Chinatown, Kriminal Time, Orror Tribune e nel primo junior made in Italy, il Kid Kong.

Nello stesso periodo nascono anche la fluorescenti Funky e Crazy Banana che con i loro look aggressivi al neon portano una nuova ventata di allegria ad un ambiente di per se già molto goliardico. Intanto il mercato dello sci incomincia a drizzare le orecchie verso il nuovo fenomeno e la Freyrie, ditta costruttrice sia di sci alpini che di sci d’acqua, crea (già nel 1983) una versione in plastica del Backhill a doppia calzata e a coda piatta. In seguito (dal ’97) anche altre ditte internazionali dello sci, come Head, Rossignol, Elan, Atomic e Fischer, proveranno con scarso successo una produzione autonoma di tavole strutturalmente simili agli sci e con la famosa forma soprannominata a supposta.

In Svizzera intanto, la Duret (dal 1984) si è distinta con attrezzi agili e leggeri che hanno nella lunga coda di rondine il loro punto forte e la Hooger Booger entra prepotentemente sul mercato con il primo snowboard asimmetrico al mondo (1987). In Giappone, sgargianti copie in plastica e in resine varie delle più famosi tavole americane invadono i supermercati dello sport, senza però riuscire a ad imporre un nome proprio nell’industria di settore. Il mondo dello snowboard è così definitivamente esploso e mentre alcuni dei grandi vecchi continua felicemente per la propria strada, come Burton che sforna uno dietro l’altro i vari Performer, Woody, Elite, Safari, e Crusher, o come Sims che produce il primo pro model a nome del padre del freestyl Terry Kidwel, e poi l’ottima serie di Blade e Racing sbizzarrendosi nelle misure che arrivano per la prima volta ai 180 cm di altezza, altri costruttori faticano a tenere il passo imposto dal mercato, riducendosi chi a vendere il proprio marchio e chi le proprie idee a multinazionali interessate al settore.

La storia dello snowboard continua, e dalla fine degli anni ottanta il suggestivo fascino del pionierismo di settore, lascia il posto al ben più importante mondo del consumismo. Per chi ha vissuto i primi anni dello snowboard, incerti sia sotto il punto di vista tecnico che sotto quello burocratico che tendeva prima a proibire e poi a ghettizzare questo sport nascente, una comprensibile nostalgia sottolinea la grande differenza tra la old school e la new school. Il frutto di esperimenti riusciti e di tentativi finiti nei cassoni delle spazzature di tutto il mondo, si nascondono ora dietro le patine lucenti delle tavole della nuova generazione, senza che chi le utilizza sappia da dove arrivano e da quanti infiniti sforzi tecnici e commerciali esse siano figlie. 

Se non fosse mai nato lo Snurfer, probabilmente lo snowboard non esisterebbe
Jake Burton

Di Dino Bonelli

www.surfshoppratonevoso.com

m u s e o    i t a l i a n o    d e l l o    s n o w b o a r d

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.